
L’ANGOSCIA E’ IL DESTINO
- Posted by Eva Orlando
- On 16 gennaio 2025
- Angoscia Sintomo Lacan Psicoanalisi Panico
L’Angoscia è il destino
XII° RENDEZ-VOUS INTERNAZIONALE DELL’IF-EPFCL PARIGI 1-5 MAGGIO 2024
Quando l’angoscia spande il suo colore
dentro l’anima buia
come una pennellata di vendetta,
sento il germoglio dell’antica fame
farsi timido e grigio
e morire la luce del domani.
Alda Merini, “Quando l’Angoscia”
Se Freud non ha esitato a riprendere e a personalizzare la frase attribuita a Napoleone: l’anatomia è il destino[1], per Lacan la garanzia dell’identità sessuale non viene dall’altro, ma dall’atto. Un atto che regolato dalla sessuazione articola il godimento di ciascuno con la propria marca soggettiva, aldilà dell’ana-tomia. «Freud ci dice: L’anatomia è il destino. Lo sapete bene, in certi momenti mi è capitato di protestare contro questa formula per quanto ha di incompleto. Essa diventa vera se diamo al termine anatomia il suo senso stretto e, se così posso dire, etimologico, il quale mette in rilievo, ana-tomia, la funzione del taglio. Tutto quello che conosciamo dell’anatomia è in effetti legato alla dissezione[2]»,e al proprio destino in una certa misura. Il destino nel suo etimo dal greco ἵστημι io sto, è l’esito finale di un avvenimento che sta, scrivendo, in un certo modo, il rapporto dell’uomo con quella funzione che si chiama desiderio e che assume tutta la sua animazione nello spezzettamento del proprio corpo,quel taglio che è centrale nell’analisi così come nella dialettica del desiderio. Del resto, non solo ana-tomia rinvia al taglio, ma anche il termine sesso che deriva da secare: tagliare, separare e, dunque, distinguere maschio e femmina. La funzione del taglio e della differenza tra i significanti è centrale per il parlessere e nella scrittura del suo destino. Il destino se interrogato provoca angoscia,affetto che non inganna[3] e che riprendendo il suo etimo angst: soffoca, stringe, tocca il corpo e diventa il segnale di quello che definisce la relazione tra il soggetto e l’oggetto, oggetto a. L’angoscia, sola traduzione soggettiva dell’oggetto a, è indice di qualcosa che passa tra il soggetto e questo oggetto, ed è per questo che bisogna farla parlare. Il vero destino del parlessere non è la geografia anatomica, ma l’oggetto a. Il destino è l’ananke: “limite a cui è sottomesso nell’uomo il destino del desiderio ha come origine la congiunzione di una certa anatomia con quello che è effettivamente il destino, ovvero l’ἀνάγκη, per cui il godimento deve confrontarsi con il significante[4]”. Al destino possiamo sfuggire indefinitamente, ma si tratterrebbe di ritrovare proprio il punto di partenza: “in che modo il soggetto è entrato in questa faccenda di significante?[5]”
È a partire da queste premesse, che possiamo avanzare perché Lacan sovverta l’enunciato “l’anatomia è il destino”, obiettando ad una formula che pare siglare la fine di ogni regola che viene dalla natura: per ciò che riguarda l’essere uomo o donna sono i soggetti ad esercitare la scelta. C’è un al di là dell’anatomia, dal dire del soggetto alla scelta singolare che tocca il corpo incarnato. L’anatomia non è più il destino perché non è sufficiente per distinguere i sessi nell’inconscio che, invece, si rivelano nella loro male-dizione[6] in quanto buco. Se l’anatomia come dato fisso e biologico del sesso smette di essere il destino, dove possiamo trovare questa dimensione e fino a che punto il destino si intreccia alla scelta e all’atto? Essere uomo o essere donna, o anche non essere né uomo né donna, è un dire che si scontra con l’angoscia perché con Lacan sappiamo che “non c’è atto sessuale che abbia peso per affermare nel soggetto la certezza di essere di un sesso[7]”. Ed è lì, in quel punto, che se si vuole si incontra il proprio destino sotto le sembianze di mantide religiosa o di un desiderio mortifero che nella sua litania trattiene il soggetto.
Io credo che il destino del parlessere sia far fronte al proprio destino, articolando il rapporto tra uomo e donna in relazione alla dimensione del godimento, godimento dell’Uno che è segnato, dominato, dall’impossibilità di costituire il solo Uno che ci interessi, l’Uno della relazione rapporto sessuale[8]. Essere uomo o donna è dell’ordine dei significanti e nello psichico non c’è nulla che possa situarsi come maschile o femminile ed, infatti: quando una donna crede di amare un uomo in effetti lo desidera, quando un uomo crede di desiderare una donna, l’ama[9].L’amore non fa Uno. Come afferma Colette Soler siamo nel campo di “un’intima eterogeneità”: corpo e Altro sono ciascuno interno ed esterno, interna estraneità che emerge in modo esplicito, non velato, nella nostra pratica. C. è un giovane ragazzo che arriva da me per parlarmi di una questione mai messa in parola prima. Pur presentandosi come un ragazzo ben curato, con la barba ben tenuta, ha dei pensieri inquietanti, potrebbe sentirsi una donna. Tutto parte da un’immagine di una donna transessuale, dalla gioia provata di fronte a quella bellezza e che ha dato origine ai suoi pensieri. Il disagio rispetto al suo corpo potrebbe essere il medesimo della donna transessuale. Questa immagine gli dà gioia, veri e propri sentimenti di giubilo che non prova con gli altri. Essere una femme fatale, appariscente che cattura lo sguardo dell’Altro sarebbe più appagante e lo farebbe sentire vicino al desiderio dell’Altro. Catturato dalla bellezza dell’immagine, C. si trova davanti una barriera della bellezza che gli sbarra la strada su chi sia realmente e cosa desideri come soggetto. Nel corso dell’analisi la sua questione si scioglie gradualmente, ma a partire da un punto preciso: l’incontro con un’angoscia profonda che tuttavia proverà a mettere in parola. Dopo la laurea, ci sono diverse possibilità di lavoro è lì che compare l’angoscia, in un margine spezzato tra desiderio e angoscia. Il posto fisso lo fisserebbe in un’immagine che non gli appartiene e ostacolerebbe quello che desidera…ma cosa desidera? Forse autorizzarsi nel suo atto del dire. Il posto fisso, sembiante di fixion fa emergere l’angoscia e catalizza la sua fixation tra l’immagine che teme gli possa rinviare lo specchio e la relazione con il suo godimento. Pian piano l’angoscia lascia il campo alla parola, ad un dire che apre al soggetto. Tenendo conto che c’è sempre pagare un prezzo, il prezzo della piccola differenza che passa attraverso il significante. C. non si sente più sgamato dal suo Altro laddove in un gioco di scrittura sentirsi sgamato può diventare: sg-amato e l’affacciarsi ad una nuova possibilità, quella del dire sostenuto dall’essere sessuato che non si autorizza che da se stesso.
Il dire del sesso è la risposta che ognuno dà in rapporto al sesso, in rapporto all’angoscia, per assumere, così, il proprio destino di parlessere. D’altronde: “l’analizzato cosa viene a cercare in analisi? Viene a cercare quello che vi può trovare o, più esattamente, se cerca vuol dire che c’è qualcosa da trovare. E la sola cosa che ci può trovare, a dire il vero, è il tropo per eccellenza, il tropo dei tropi, quello che si chiama il suo destino. Se dimentichiamo il rapporto che c’è tra l’analisi e quello che chiamiamo il destino (…)vuol dire che stiamo semplicemente dimenticando le origini dell’analisi, dato che questa non avrebbe potuto fare un solo passo senza tale rapporto[10]”. Al parlessere non resta che far parlare il proprio destino, facendo parlare l’angoscia.
[1]Freud S., (1924), Il tramonto del complesso edipico, in OSF, vol. X, Torino, Bollati Boringhieri, pag.32.
[2]Lacan J., (1962-1963), Il Seminario Libro X L’angoscia (1962-1963). Torino, Einaudi, 2007, pag. 256.
[3] Lacan J., (1962-1963), ibidem, pag.83.
[4] Lacan J. (1962-1963), ibidem, pag.192.
[5] Lacan J. (1962-1963), ibidem, pag.74.
[6] Lacan J., «Televisione», in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 527.
[7]Lacan J., (1966-1967), La logica del fantasma. Resoconto del seminario 1966-1967, in “Altri Scritti” (2001), Einaudi, Torino, 2013, pag. 321.
[8]Lacan J., (1972-1973),Il Seminario. Libro XX, Ancora, Torino, Einaudi, 2011, pag.7.
[9] Lacan J., (1967-1968), Le Séminaire Livre XV, L’acte psychanalytique, Seuil & Le ChampFreudien, 2024, pag.268.
[10] Lacan J., (1960-1961), Il Seminario Libro VIII Il Transfert, Einaudi, Torino, 2008, pag. 348.
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