
LA REALTA’ DEL DESIDERIO
- Posted by Eva Orlando
- On 16 gennaio 2025
Lezione presso
ICLeS Napoli, 26.10.2024
Ho scelto questo titolo che è una citazione di Lacan che troviamo nel Seminario XIV La logica del fantasma che lega la realtà e il desiderio e come queste due grandi questione della teoria lacaniana sfiorano o toccano la questione appunto del fantasma. Compito non semplice trattandosi oggi del seminario conclusivo dell’anno dedicato a Delirio, Realtà e Fantasma.
Nel seminario di oggi affronterò il tema della realtà del desiderio, provando a commentare questa frase legandola a degli aspetti cruciali della clinica lacaniana, in particolare al desiderio e al fantasma. Cos’è il desiderio per Lacan? Cos’è la realtà e qual è la portata del fantasma in gioco, rispetto a queste questioni che hanno una valenza prettamente clinica.
Una prima precisazione è che Lacan distingue la realtà dal reale e che la realtà del desiderio non è l’oggetto della realtà. Per fare un fantasma ci vuole qualcosa che sia pronto-a-portarlo. Il fantasma, che cos’è che lo porta? Ciò che lo porta ha due nomi che concernono la stessa sostanza, qualcosa che si qualcosa che si allaccia all’esistenza di bolle nel reale. Questa superficie che Lacan chiama bolla ha due nomi: desiderio e realtà è difficile articolare la realtà del desiderio perché desiderio e realtà sono in rapporto di testura senza taglio. Perciò non hanno bisogno di cuciture, non hann0 bisogno di essere ricuciti. Partiamo col dire che il desiderio ha sicuramente una realtà costitutiva, ma ciò non toglie che quella realtà proprio perché è del desiderio è sempre eterogenea rispetto al desiderio stesso di cui è la realtà. Un altro modo di dire che tra il desiderio e l’oggetto del desiderio non vi è specularità; il desiderio non è mai identico a se stesso, è sempre desiderio di altro è sempre altro da se stesso. Essi si alternano, si legano e molto spesso si slegano. Ma Lacan in questo seminario ci avvisa che: “non c’è una realtà del desiderio allo stesso modo in cui non è esatto dire il rovescio del dritto. C’è un’unica stoffa – dice Lacan – che ha un rovescio e un dritto. Per di più questa stoffa è intessuta in modo tale che si passa da una delle sue facce all’altra senza rendersene conto, poiché è senza tagli e senza cuciture. È per questo che Lacan parla del cross-cap e cioè che si passa da una faccia all’altra senza rendersene conto dimostra che di faccia ce n’è una sola[1]”.
DIFFERENZA TRA REALE E REALTA’
Per Lacan non è possibile una congiunzione di reale e razionale il cui esito sia un soggetto identico a se stesso. La realtà è la realtà concreta della cui esistenza nessuno può dubitare. La realtà di una forchetta sul tavolo in cucina o di una forte nevicata sopra i tetti sono fatti in sé, accadono di fronte a me, non sono proiezioni della mia coscienza o del mio inconscio.
La realtà, di fatto, ha due caratteristiche, la prima: è indipendente dalla mia volontà; la seconda è che è permanente e mi coinvolge. Il reale è l’impossibile, ciò che resiste all’ immaginario e al simbolico e che appunto resiste alla simbolizzazione. Il reale è ciò da cui non si può fuggire, non ci si può nascondere, è quell’ improvviso che spezza il sonno della normalità della realtà. Quindi il reale non è la realtà, ma ciò che scompagina la realtà. Questi passaggi si intersecano con la citazione che Lacan riprende e commenta di Hegel su: “Tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale”, quando Hegel vuole affermare che esiste una ragione che si manifesta nella realtà. Ma per Lacan cosa si manifesta nella realtà: il reale appunto come impossibile.
Il reale si distingue dalla realtà anche per la sua funzione perché è qualcosa che fa un buco. Designa il difetto stesso che è costitutivo della struttura. La realtà, al contrario, è fatta di costruzioni capaci di mascherare o semplicemente contenere questa mancanza, questo fuori che è irriducibile.
Lungi dall’essere confusa con la realtà, il reale ne è, al contrario, il punto limite. In questo senso ha una funzione di impasse: «quando arriviamo alla fine, è la fine… ed è proprio questo che interessa perché è lì che si trova il reale» dice Lacan. La realtà è quindi la disconnessione dalla realtà. Ma allo stesso tempo, “in questa realtà, […] il reale […] è già lì. Il mondo esterno è costruito nella realtà, sotto il regime del principio di realtà, ma la realtà, sotto questo mondo costruito, è pronta a sopraffarlo. “È lì, identico alla sua esistenza, rumore dove tutto si sente, e pronto a travolgere con le sue schegge ciò che il “principio di realtà” lì costruisce sotto il nome di mondo esterno”.
Ricorderete la definizione del principio di realtà (vs. realtà del desiderio).
PRINCIPIO DI REALTA’: è un principio regolatore, ha lo scopo di rinviare la gratificazione in funzione delle condizioni imposte dal mondo esterno. Da un punto di vista economico corrisponde ad una trasformazione dell’energia libera in energia “legata”. Il principio di realtà da un punto di vista temporale compare più tardi. All’inizio della vita il bambino per soddisfare i suoi bisogni dipende completamente dagli adulti che lo circondano, egli non può sfuggire all’aumento di tensione generato dal bisogno. Qual è la posizione dell’analista rispetto al principio di piacere e a quello di realtà?
Lo scarto tra il principio di piacere e il principio di realtà si sostiene perché fa posto alla realtà dell’inconscio.
Il reale che ha a che fare con il desiderio, il fantasma e l’immagine del corpo. Se la realtà ha ovviamente una matrice filosofica, nella filosofia antica come contrapposizione della realtà all’illusione e all’errore, si pensi ad esempio al mito della caverna di Platone. Per Lacan, invece, nella strutturazione del soggetto a partire dallo stadio dello specchio ad esempio, ciò che è importante è l’immagine del corpo, forse anch’essa illusoria e menzognera, ma comunque alla base della strutturazione dell’IO. Ciò che struttura l’investimento per gli esseri umani si riferisce anche a qualcosa di molto specifico: all’immagine del corpo. Lacan, nella sua Conferenza a Ginevra nel 1975, diceva così: “L’uomo è catturato dall’immagine del suo corpo. Questo punto spiega molte cose, e prima di tutto il privilegio che questa immagine ha per lui. Il suo mondo, se questa parola ha un significato, il suo Umwelt– ciò che lo circonda, lo ricompone, lo rende qualcosa a immagine del suo corpo».
Per semplificare, potremmo dire che il mondo, il nostro mondo, che è un mondo fantasmatico, è strutturato come un’immagine corporea. Questo è stato il contributo essenziale di Lacan a partire dagli anni Trenta.
FREUD
Se il delirio era riconosciuto molto prima della nosografia psichiatrica, il fantasma, che deriva dal greco phantasma, evoca immediatamente l’immaginazione. Questo termine, che Freud colse per formalizzare le sue scoperte in psicoanalisi, divenne uno dei suoi snodi teorici con il suo testo “Un bambino viene picchiato”. Nell’ultimo capitolo de L’interpretazione dei sogni, Freud insiste sul fatto che “la realtà psichica è una forma particolare di esistenza che non deve essere confusa con la realtà materiale”. E ancora: “l’inconscio è lo psichico reale nel vero senso della parola, altrettanto sconosciuto, per sua intima natura, della realtà del mondo esterno”.
Beninteso, “la realtà psichica è una forma di esistenza che non dev’essere confusa con la realtà materiale“. Le tracce, provenienti da diversa fonte sensoriale (esterno e propriocettiva), concorrono alla costituzione di rappresentazioni di cosa (Sachvorstellungen): nozione teorica introdotta da Freud per dare ragione dell’esistenza di una forma della rappresentazione quando, in assenza di una connessione col linguaggio, essa non può entrare ancora nel circuito preconscio-coscienza. Tale connessione istituisce le rappresentazioni di parola (Wortvorstellungen). Esse, che sono suscettibili di divenire coscienti, vengono a costituire il preconscio.
Nel suo testo del 1911 “Formulazioni sui due principi dell’accadere psichico” introduce la questione della realtà nel modo seguente: “Ogni nevrosi ha la conseguenza, e quindi probabilmente il fine, di espellere il paziente dalla vita reale, di renderlo estraneo alla realtà” precisando inoltre che il nevrotico si allontana dalla realtà perché la trova insopportabile; “in tutto o in parte”. Aggiunge che il tipo più estremo nel suo modo di allontanarsi dalla realtà si trova nei casi di psicosi allucinatoria, dove “l’evento che ha causato la follia deve essere negato“.
Per Freud, ci sono quindi due tipi di perdita della realtà che differenziano il campo delle nevrosi da quello delle psicosi. Con il suo testo La perdita della realtà nella nevrosi e nella psicosi (1924), è più sfumato introducendo due tempi logici. Per l’ingresso nella nevrosi, egli concepisce che l’Io si trovi in una posizione di fedeltà alla realtà, che gli permette di reprimere un frammento dell’Es impedendo al soggetto di perdere la realtà. La nevrosi appare quando questa repressione è accompagnata dal sintomo come il ritorno del rimosso. Freud ci mostra che questa differenza iniziale tra nevrosi e psicosi si trova nel risultato finale, dove la nevrosi fugge da questo frammento di realtà, mentre la psicosi lo ricostruisce da “un mondo fantasmatico“.
E conclude così: “Per la nevrosi come per la psicosi, la questione che si pone non è solo quella della perdita della realtà, ma anche quella di un sostituto della realtà”. Questo dà accesso alla fantasia/fantasma e al delirio in modi molto specifici. Mentre la nevrosi fa un uso simbolico del mondo fantasmatico, la psicosi proietta questo mondo fantasmatico nel reale.
Il riferimento a Freud ci è utile in questo discorso non solo per spiegare il diverso rapporto con la realtà nella nevrosi e psicosi, ma soprattutto perché ci permette di riprendere la definizione di: REALTÀ PSICHICA
Con questo termine (psychische Realität) Freud indica fondamentalmente il desiderio inconscio e le fantasie ad esso legate. È ciò che, nella vita psichica del soggetto, risulta essere così particolarmente coerente e resistente che per certi versi è molto vicino alla realtà materiale. La realtà psichica è ciò che per il soggetto assume valore di realtà. Man mano che Freud riduce l’importanza teorica della seduzione e dei traumi psichici infantili, fa strada all’idea di realtà psichica. Ci sono fantasie che, anche se non connesse a fatti realmente accaduti “possiedono una realtà psichica in contrasto con quella materiale, e noi giungiamo a poco a poco a capire che nel mondo delle nevrosi la realtà psichica è quella determinante”.
DESIDERIO
Il desiderio è il Desiderio dell’Altro, genitivo, oggettivo e soggettivo; e questo è legato ad una delle prime definizioni di Lacan che l’inconscio è il discorso dell’Altro. All’inizio si è più un oggetto che un soggetto desiderante. Quindi la verità di ciò che desideriamo, diciamo in faccia, non porta alla nostra dignità di soggetti desideranti, ma a ciò che siamo stati in grado di mettere di noi stessi al posto del desiderio dell’Altro.
“Il desiderio è ciò che si manifesta nell’intervallo scavato dalla domanda aldiqua di se stessa in quanto il soggetto, articolando la catena significante, porta alla luce la mancanza ad essere insieme all’invocazione a riceverne il complemento dall’Altro, posto che l’Altro, luogo della parola, è anche il luogo di questa mancanza[2]”.
Procediamo con alcune distinzioni sul desiderio. Da una parte, mettiamo l’istinto e il bisogno – Lacan diceva la tendenza – quindi qualcosa che parte dal vivente, dall’organismo, la tensione, come abbiamo appena detto. Dall’altra parte, dobbiamo mettere la pulsione e il desiderio, vale a dire, il risultato del passaggio della tendenza attraverso la parola. La pulsione non è istinto, “è l’eco nel corpo del fatto che c’è un detto” dice Lacan. C’è una grammatica delle pulsioni, aspetto che si trova già in “Le pulsioni e i destini delle pulsioni” di Freud.
C’è poi il desiderio, che è legato alla mancanza, alla mancanza simbolica, poiché in natura, o meglio ancora, nella realtà, non manca nulla. Al livello del desiderio, la mancanza che conta, Freud in primis, è la mancanza fallica. Da questo punto di vista, la nostra mancanza è la mancanza dell’Altro, soprattutto la privazione della madre, la privazione della donna. Lacan diceva che il fallo – che non è l’organo ma il suo simbolo negli antichi misteri – è il significante del desiderio.
Ma al di là del desiderio legato al significante fallico nel campo chiuso della sessualità, il desiderio assicura – a un piano più esistenziale, per così dire – ciò che ci anima nella vita. Il desiderio tocca tutte le nostre aspirazioni e altre conquiste che sono più o meno apprezzate socialmente. Va notato qui che ci può essere vita senza desiderio. È il dolore dell’esistere, che nella sua forma pura corrisponde alla malinconia, quando la vita non ha senso.
- Il Desiderio è il nostro essere senza essenza[3].
Vi ricordo a questo proposito che l’ultima parola dell‘Interpretazione dei sogni di Freud riguarda il desiderio indistruttibile: un desiderio, sempre lo stesso.
Ci sono cose che immaginiamo, pensieri che ci terrorizzano, o che ci fanno soffrire. Quello che chiamiamo trauma può essere collegato – non causato, ma legato – a un’immaginazione e non a un evento reale. È possibile concepire un evento al di fuori della dimensione del dire e del discorso? Freud osserva che “i ricordi d’infanzia generalmente acquisiscono il significato di memoria sullo schermo”. Il trauma è sempre sospetto, ha detto Lacan. Per essere più precisi, va detto che l’immaginazione non è sufficiente per schermare una realtà, per coprire una realtà traumatica. Da questo punto di vista, si potrebbe anche dire che tutta la memoria è una memoria dello schermo.
La realtà con cui abbiamo a che fare non è quella della scienza, ma un buco nel sesso. Il desiderio dei corpi dei pazienti isterici di Freud poneva loro grandi difficoltà, al punto da renderli sintomi. Freud postula il reale fin dall’inizio, anche se è confuso sul divario tra il traumatico e l’evento come reale.
L’immaginario, dal punto di vista del reale così come del traumatico, è strutturato come un velo. Non deve essere fatto a pezzi.
L’analista è implicato e non può sottrarsi alla condizione di oggetto del desiderio. Difatti, l’analizzante è assoggettato al desiderio dell’analista e “dietro al cosiddetto amore di transfert c’è l’affermazione del legame del desiderio dell’analista con il desiderio del paziente” nel luogo dell’Altro. Volendo rendersi amabile, l’analizzante presentifica l’analista nel luogo dell’Altro come Ideale dell’Io. Il silenzio dell’analista in quel punto fa emergere la dimensione della mancanza: quella dell’oggetto mancante del desiderio, ciò che manca al soggetto e con cui ama l’Altro, che è pronto a dare all’Altro, ma anche quello della mancanza dell’Altro che il soggetto cerca di colmare mediante l’oggetto del suo desiderio con la sua domanda. La funzione nodale del transfert è quella di supplire al problema del legame del desiderio del soggetto con il desiderio dell’Altro. In tal senso, Alcibiade vuole rendersi amabile nei confronti di Socrate per rapirgli il suo desiderio. E il desiderio abbiamo già detto è sempre una mancanza. Si spinge così ad affermare l’inesistenza dell’Altro, aprendo alla nozione di inconscio come evento singolare ed irriducibile, anche se reso leggibile dalle leggi del linguaggio. L’inconscio non è il contenuto di un disvelamento, il segreto dischiuso, il compimento di qualcosa di se stessi che non si conosca ancora, ma il momento in cui si mostra l’opacità̀ della coscienza di fronte all’emerge di una verità non prevista di cui l’Altro non è più garante. È nella discontinuità della coscienza che il desiderio si singolarizza.
Il posto dell’analista nell’analisi è quello dell’oggetto a. L’analista deve farsi oggetto a, causa di desiderio dell’analizzante e saper essere scarto, rifiuto dell’umanità. Il desiderio dell’analista punta al reale che causa il desiderio dell’analizzante, e lavora a produrre nel soggetto la “differenza assoluta” che separa l’ideale (I) dall’oggetto a, confusi nel suo fantasma. La funzione del desiderio dell’analista non si lascia riassorbire solo nel registro del simbolico. L’introduzione della nozione di desiderio dell’analista accompagna la ridefinizione della funzione dell’analista nella cura, che non sarà più riducibile per Lacan a rappresentante dell’Altro ma si configurerà al tempo stesso come simulacro dell’oggetto a causa di desiderio, in una progressione che vedrà sempre più prevalere questa seconda definizione alla prima.
Ne I problemi cruciali della psicoanalisi, Lacan afferma che l’analisi è il luogo in cui si verifica, in un modo radicale perché essa ne mostra la sovrapposizione stretta, che il desiderio è il desiderio dell’Altro. Non perché al paziente venga dettato il desiderio dell’analista, ma perché l’analista si fa desiderio del paziente”. Infatti, un’analisi non termina necessariamente con la formazione di un’analista, cioè l’analizzante non assorbe completamente il desiderio dell’analista trasformato in desiderio dell’Altro, eppure si continua a psicoanalizzare perché il desiderio dell’analista continua ad essere vivo. Mantenere vivo il proprio desiderio equivale al monito lacaniano di “non cedere sul proprio desiderio”. É questa la lezione che traggo da questo sorprendente insegnamento di Lacan, tratto da Seminario VII, L’etica della psicoanalisi: “Ciò che l’analista ha da dare, contrariamente al partner dell’amore è ciò che egli ha. E ciò che egli ha, non è nient’altro che il suo desiderio, come l’analizzato, a parte il fatto che è un desiderio avveduto. L’analista non può desiderare l’impossibile”.
FANTASMA
Il fantasma come motore della realtà psichica, quella del soggetto diviso.
Ne la Logica del fantasma resoconto del 1966-1967 che troviamo negli Altri Scritti Lacan afferma che non c’è altra entrata per il soggetto nel reale che il fantasma. Il compito dell’analista è smascherare il reale. Lacan nelle Giornate sulla Psicosi del 1967 afferma: “il valore della psicoanalisi è di operare sul fantasma. Il grado della sua riuscita dimostra che là si giudica la forma che fissa come nevrosi, perversione o psicosi. È solamente da dove si colloca fino a dove si tiene che il fantasma fornisce alla realtà il suo inquadramento nel suo rapporto con l’oggetto a”. Quindi il nucleo del fantasma è la relazione del soggetto con un oggetto: questo oggetto è l’oggetto a.
Troviamo anche l’oggetto acome perduto, un luogo vuoto, un buco spalancato che l’individuo cercherà di riempire, per tutta la vita, con i vari oggetti immaginari che la particolarità della sua storia lo avrà portato a favorire. Tuttavia, se è il risultato di un’operazione logica, alcune parti del corpo propriamente dette si prestano particolarmente bene all’operazione logica di distacco e della perdita: lo sguardo, la voce, il seno e le feci. In effetti, non abbiamo mai accesso al nostro sguardo come guardare l’altro, né alla nostra voce come viene percepita dall’altro. Le feci sono ovviamente parti del corpo che possono essere staccate, perse e da perdere. Per quanto riguarda il seno, non è solo perso perché il bambino è stato privato del seno della madre in un momento o nell’altro, ma più essenzialmente perché questo seno è stato sperimentato per la prima volta dal bambino come parte integrante del proprio corpo.
Il fantasma la possiamo descrivere come una persiana. Una persiana il cui desiderio sarebbe la camera oscura. Il fantasma secondo Lacan è una struttura generale che può essere rappresentata da una formula ($◊ a); la losanga o punzone si legge “desiderio di” che, però, Lacan dice che si può leggere anche in senso retrogrado. La losanga infatti sta ad indicare che, in genere, vi è una continua oscillazione tra a e $. In effetti, $ e a appartengono al soggetto, sono forme diverse del soggetto ed è per questo che Lacan parla di una “identità che si fonda su una non-reciprocità assoluta”. Il soggetto diviso e l’oggetto piccolo a sono “formazioni del soggetto” assolutamente non-reciproche, la prima rappresenta la mancanza-a-essere del soggetto (sul lato significante) la seconda la “sostanza godente”, per utilizzare un’espressione che Lacan formulerà molto più avanti nel suo insegnamento, l’oggetto vuoto causa di desiderio.
Per questo il fantasma resiste all’interpretazione, difficilmente può essere ridotto, a differenza dei sintomi. Il fantasma si può, se non attraversare, si può comunque rendere un po’ meno operativo e stringente nella vita di un soggetto …in un certo qual modo, lo si può ammorbidire o comunque se ne può prendere un poco le distanze. Il fantasma si presenta come impermeabile al significante, eppure la vera sfida per la clinica psicoanalitica è quella di stabilire come il significante veicolato dall’interpretazione analitica consenta una modificazione del sintomo. In generale, il motivo per cui Lacan ha distinto chiaramente la dimensione del sintomo da quella del fantasma deriva dal fatto di aver collocato la fine dell’analisi non sul versante del sintomo, ma su quello del fantasma.
Infatti, la traversée du fantasme è la modificazione della posizione soggettiva rispetto al fantasma fondamentale. La fine dell’analisi esula dal fatto di avere più o meno sintomi e non va confuso con il momento in cui il paziente si ritiene sufficientemente pronto ad assumersi le responsabilità nella sua vita. Ma attenzione la traversata del fantasma non è un’eclissi del fantasma, nel senso che non si tratta di farlo scomparire. Per Freud è impossibile cogliere l’essenza del fantasma, se non come ricostruzione a posteriori in aprés-coup da parte dell’analista. In tal senso, l’analisi di ogni soggetto punta all’estrazione del fantasma fondamentale che avviene lasciando decantare il fantasma; alla fine dell’analisi è lo scarto del processo analitico e più precisamente lo scarto dell’interpretazione del sintomo. In quest’ottica la concezione del reale di Lacan è che il reale è l’impossibile e la fine dell’analisi è il risultato di una modificazione del soggetto rispetto al reale del fantasma. Quando un analista non tiene conto della separazione del sintomo e del fantasma è molto difficile che orienti la cura del paziente. Infatti, mentre è abbastanza evidente la dinamica del sintomo, nel caso del fantasma incontriamo, una statica. Nello sviluppo della cura analitica il fantasma è sempre più circoscritto ad un istante iniziale, senza una vera dimensione temporale: esso è ridotto ad un istante. Mentre il sintomo appare agli occhi del soggetto come un’opacità soggettiva, come un enigma, il fantasma non gli si presenta con la stessa opacità, ma si propone con assoluta trasparenza come se fosse una lettera da leggere.
Dal 1967 in poi, è più chiaro: “La realtà è comandata dal fantasma nella misura in cui il soggetto si realizza nella sua stessa divisione. [9] “Per lui, il mondo fantasmatico che sostituisce la perdita della realtà è un mondo delirante che ha il merito di dare senso a una realtà senza senso. Così, nel 1978, dichiarò: “Tutti sono pazzi, vale a dire deliranti[4]”.
L’analista deve dunque sapere che, lungi dall’essere la misura della realtà, non dischiuderà al soggetto la sua verità se non in una realtà alienata, senza tuttavia essere incapace di pensarsi come diviso, cosa di cui l’analista è precisamente la causa.
In conclusione, come defineremo il termine realtà? Come quello Lacan definisce come il pronto-a-portare-il-fantasma, vale a dire ciò che costituisce il suo ordine. Vedremo allora che la realtà, tutta la realtà umana, non è altro che un montaggio del simbolico e dell’immaginario. Il desiderio, che si trova al centro di questo dispositivo, di questo quadro che abbiamo chiamato realtà, è anche ciò che copre il reale. È importante distinguere il reale dalla realtà. Esso è sempre e soltanto intravisto – si intravede quando vacilla la maschera del fantasma. È esattamente ciò che ha colto Spinoza quando ha detto che il desiderio è l’essenza dell’uomo. In verità questo termine uomo è un termine transitorio. Alla formula spinoziana dobbiamo semplicemente sostituire la seguente: il desiderio è l’essenza della realtà. Formula che si ritrova nella clinica, ma anche nell’analisi quando l’analista si fa causa del desiderio dell’analizzante e questo ha degli effetti nella sua vita, nella sua realtà, perché L’analista, infatti, non si nega né al principio di piacere né al principio di realtà, semplicemente è pari a colui che egli guida, e non può, non deve in alcun modo portarlo a oltrepassarli.
[1] Lacan, J., (1966-1967), La logica del fantasma, Libro XIV, Einaudi, Torino, 2024, pag. 10
[2] Lacan J., (1958), “La direzione della cura” in Scritti pag. 623.
[3] Lacan, J. (1967), “Della psicoanalisi nei suoi rapporti con la realtà” in Altri Scritti, Einaudi, Torino, pag. 354.
[4]Lacan J., Lacan à Vincennes, Ornicar? 17/18, 1979, p.278.
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